Con il termine obesità si intende una malattia cronica, progressiva e recidivante caratterizzata dalla presenza di adiposità che altera la salute e il benessere sociale. Tale condizione viene individua nei soggetti che presentano un indice di massa corporea (BMI)≥ 30.
Questa guida vuole presentare le migliori strategie basate sull’evidenza degli interventi nutrizionali condotti in studi clinici e/o epidemiologici nel contesto della gestione dell’obesità per gli adulti, ed é stata tratto dall’ articolo Obesità negli adulti: una linea guida per la pratica clinica pubblicato sul Canadian Medical Association Journal e disponibile anche sul sito di Obesity Canada, una rete di ricercatori, professionisti sanitari, responsabili politici, parti interessate del settore e sostenitori pubblici interessati alla prevenzione e alla gestione dell’obesità.
Obesità: un cambio di paradigma
La condizione di obesità viene storicamente diagnosticata nei soggetti che presentano un indice di massa corporea (BMI)≥ 30. In realtá questo termine non si limita ad identificare uno stato fisico basato sul rapporto peso altezza, ma uno squilibrio tra intake calorico e dispendio energetico che causa una malattia cronica, progressiva e recidivante, caratterizzata dalla presenza di adiposità e che altera la salute e il benessere sociale.
L’obesità puó essere considerata un patologia multifattoriale in quanto le comorbidità sono numerose:
- Cancro (contribuisce con un incidenza del 7-41%)
- Ischemie cardiache (contribuisce con un incidenza del 7-41%)
- Diabete Mellito (contribuisce con un incidenza del 7-41%
- Malattie coronariche
- Ipertensione
- Ictus
- Apnee notturne
- Embolia polmonare
- Mal di schiena
- Osteoartrite
- Cistifellea patologia
Le persone affette da obesità sono spesso stigmatizzate e discriminate per i loro comportamenti alimentari. Gran parte degli interventi di salute pubblica, nonché l’industria della dieta, hanno concentrato i loro messaggi di sensibilizzazione esclusivamente sul “mangiare meno” o sulla scelta di cibi “salutari”. Come risultato di tutto ció, si é arrivato alla convinzione generale che la perdita di peso e la salute possano essere raggiunti esclusivamente con le diete, o la restrizione calorica, individuando le abitudini alimentari come gli unici colpevoli dell’obesità.
Queste narrazioni semplicistiche spesso trascurano l’evidenza che la perdita di peso potrebbe non essere sostenibile a lungo termine, non a causa di scelte personali o mancanza di forza di volontà, ma piuttosto a causa di forti meccanismi biologici o fisiologici che proteggono il corpo dalla perdita di peso. Inoltre non si considera il fatto che l’obesità spesso é dovuto a condizioni complesse quali fattori individuali, biologici, comportamentali, psicologici, sociali ed ambientali. I fattori individuali, come la predisposizione genetica, puó determinare una maggiore suscettibilità all’obesità, che si sviluppa se la persona é semplicemente esposta ad un fattore obesogeno.
È necessario pertanto un cambio di paradigma in tutti gli aspetti della ricerca, delle politiche, dell’educazione e della promozione della salute sulla nutrizione per supportare tutte persone, a prescindere dal loro peso, nel mangiare bene senza critiche o pregiudizi riguardo al cibo ed ai comportamenti alimentari adottati. Gli interventi nutrizionali per la gestione dell’obesità dovrebbero concentrarsi sul raggiungimento di risultati in termini di salute per la riduzione del rischio di malattie croniche e il miglioramento della qualità della vita, non solo nella riduzione del peso.
È importante capire inoltre che non esiste un modello alimentare valido per tutti nella gestione dell’obesità. In tale contesto, la cura deve essere individualizzata ed il miglior approccio nutrizionale è quello che un individuo può mantenere a lungo termine ottenendo risultati legati alla salute e/o al peso. Le persone devono essere messe in grado di considerare varie opzioni di intervento nutrizionale e le evidenze scientifiche suggeriscono che questo approccio faciliterà meglio l’adesione a lungo termine.
Strategie di intervento
Le seguenti tabelle forniscono una panoramica dei vari interventi utilizzati per influenzare il cambiamento di peso, migliorare la salute e gli indicatori di qualità della vita, nonché i vantaggi e gli svantaggi di ciascuno.
- Pressione arteriosa superiore a 130/85 mmHg.
- Trigliceridi ematici superiori a 150 mg/dl.
- Glicemia a digiuno superiore a 110 mg/dl (100 mg/dl secondo l’ADA).
- Colesterolo HDL inferiore a 40 mg/dl nell’uomo o a 50 mg/dl nelle femmine.
- Circonferenza addominale superiore a 102 centimetri per i maschi o a 88 centimetri per le femmine.
Tutti questi fattori sono strettamenti associati alla sedentarietá!
Sedentarietà
Per sedentarietà si intende un approccio alla vita che prevede poco movimento e che si traduce in un fattore di rischio per la nostra salute, in quanto causa di una serie di disturbi e malattie che possono portare anche alla morte. Si definisce sedentarietà pertanto il mancato raggiungimento dei livelli di attività raccomandati.
Quantifichiamo il movimento/attività fisica raccomandata in base alla fonti:
- Healthy People 2010: almeno 30 minuti di attività moderata per 5 giorni alla settimana oppure 20 minuti di attività intensa per almeno 3 giorni alla settimana oppure oppure combinazioni equivalenti risultanti in almeno 600 MET (equivalenti metabolici) alla settimana (fonte: US Department of Health and Human Services. Objectives 22-2 and 22-3. In: Healthy people 2010, Washington, DC; 2000).
- 1 MET = energia spesa in posizione seduta
- Conversione dati riferiti in MET: minuti riferiti vengono moltiplicati per 8 in caso di attività intensa e per 4 in caso di attività moderata.
- OMS-CDC (2010): i livelli raccomandati si dividono in attività aerobica e anaerobica. Per l’attività aerobica vengono raccomandati almeno 150 minuti/settimana di attività moderata oppure 75 minuti di attività intensa/settimana o combinazioni varie; per quella anaerobica (di rafforzamento muscolare) sono indicati almeno 2 giorni dedicati alla settimana.
Si tratta sicuramente di soglie per molti sfidanti, ma si deve considerare nell’ottica che molte persone non praticano nel quotidiano alcun genere di attività fisica in ambito lavorativo e domestico. D’altronde, analizzando le caratteristiche delle popolazione più longeve nel pianeta (Blue Zones o Zone Blu) vedremo che al vertice della piramide delle abitudini comuni troveremo un’ attività fisica costante.
Conseguenze della sedentarietà
Ad oggi si contano circa 210 milioni di cittadini europei totalmente inattivi, con un peso sulle casse EU per oltre 80 miliardi di €/anno (fonte: (Maxime Leblanc – sporteconomy.it – settembre 2017)
Secondo l’OMS infatti il 30% delle morti premature totali sono correlate con l’inattività ed il sovrappeso ed un terzo delle morti per cancro dipendono da cattiva alimentazione, sedentarietà e sovrappeso.
La sedentarietà riduce l’aspettativa di vita mediamente di 4 anni e ha superato il fumo come causa di patologia (Fonte: Chi Pang Wen, Xifeng Wu, Stressing harms of physical inactivity to promote exercise, The Lancet, Volume 380, Issue 9838, Pages 192 – 193, 21 July 2012).
La lotta alla sedentarietà è da considerarsi una priorità pari a quella del fumo!
Si stima che la sedentarietà sia responsabile nel mondo di:
- 5.3 milioni di morti all’anno (contro i 5 milioni causati dal fumo), oltre il 9% delle morti premature.
- 6% di cardiopatie coronarie.
- 7% di diabete di tipo 2.
- 10% di cancro al seno.
- 10% di cancro al colon.
- 22% dei casi di cardiopatia ischemica.
Il rischio relativo di malattia coronarica nei sedentari rispetto ai non sedentari è pari all’1.5-2.4; viceversa, numerosi studi confermano una cospicua riduzione della mortalità associata con l’attività fisica.
La sedentarietá é una delle maggiori cause di morti nel mondo!
La sedentarietà in Italia
Nella classifica europea della sedentarietà , gli italiani si posizionano secondi, preceduta soltanto dai britannici. Il 92% dei tredicenni italiani non raggiunge lo standard minimo di attività fisica e questa grave responsabilitá va imputata soprattutto alla scuola.
In Italia, secondo il rapporto nazionale Passi 2011 (fonte: Rapporto nazionale Passi 2011: attività fisica):
- il 30% della popolazione è sedentaria: non svolge lavori pesanti e non fa attività fisica nel tempo libero.
- il 37% é parzialmente attivo: non svolge lavori pesanti ma fa attività fisica nel tempo libero pur non raggiungendo gli standard previsti.
- il 33% é attivo: fa un lavoro pesante oppure aderisce alle linee guida (30 minuti di attività moderata 5 volte alla settimana o attività intensa per più di 20 minuti per 3 volte alla settimana).
La sedentarietà risulta più frequente nelle fasce d’età più avanzate, nel Sud, nelle donne, nelle persone che hanno il minor grado di istruzione ed in chi ha molte difficoltà economiche.
Dal rapporto, che prende in considerazione un range temporale che va dal 2008 al 2011, é possibile tracciare un trend dal quale peró non si evince nessuna variazione significativa della prevalenza di sedentari, in nessuna delle tre ripartizioni geografiche
Un altro aspetto che su cui vale la pena soffermarsi é il livello di autopercezione del livello di attività svolta: dalle analisi emerge che in Italia il 20% dei sedentari pensa di fare sufficiente attività fisica, verso il 51% dei parzialmente attivi ed il 70% degli attivi. Inoltre, solo il 32% ha ricevuto domande/raccomandazioni dai proprio medici senza che sia registrata da parte loro nessuna tendenza all’aumento (solo chi è in eccesso ponderale riceve più consigli).
Per quanta riguarda l’impatto sulle malattie, in Italia la sedentarietà é causa di (Fonte: The Lancet, Published online July 18, 2012):
- 16% dei tumori al colon.
- 16% dei tumori al seno.
- 15% delle morti premature.
- 11% del diabete di tipo 2.
- 9% delle malattie cardiovascolari.
Appare evidente quindi quanto questi numeri siano preoccupanti e necessitino uno sforzo maggiore di quanto fatto finora nel ridurre tale impatto con interventi mirati. Nel convegno nazionale Guadagnare Salute, tenuto a Venezia nel 2012, é stato presentato una graduatoria di priorità di intervento in base a determinati criteri. Tali dimensioni che definivano una priorità di prevenzione consideravano:
- Frequenza di malattia e decessi attribuibili ai singoli fattori di rischio.
- Popolazione esposta ai fattori di rischio.
- Disuguaglianze sociali nella distribuzione dei fattori di rischio.
- Disponibilità di interventi efficaci e efficienti.
- Trend temporali.
Dai suddetti criteri é stato redatto il seguente rapporto di prioritá di interventi nella prevenzione in Italia che vede al primo posto proprio la sedentarietà in tutta Italia, seguito dal fumo e dall’ipertensione (ad eccezione di Umbra, Sicilia e Sardegna dove risulta al secondo posto preceduta dal fumo)
Attività fisica e salute
L’esercizio fisico, combinato con una restrizione calorica in caso di soggetti obesi, possono indurre effetti anti-infiammatori, perché le quantità basse di ROS (radicali liberi reattivi all’ossigeno) prodotti durante l’attività dai muscoli scheletrici, stimolano risposte biologiche generalmente favorevoli, provocando adattamenti graduali proprio per stimolare le difese verso questa situazione. Quindi si produrrà maggiore antiossidante, maggiore resistenza allo stress ossidativo e inferiori livelli di danno ossidativo.
L’incidenza del diabete in soggetti con ridotta tolleranza al glucosio può essere ridotta di oltre il 50% attraverso un intervento integrato sull’alimentazione e l’attività fisica. L’esercizio fisico infatti agisce favorevolmente su tutte le alterazioni indotte dall’insulino-resistenza e migliora la captazione di glucosio insulino-mediata e la capacità di depositare glicogeno nei muscoli.
Individui attivi presentano anche una probabilità di sviluppare ipertensione del 30-50% inferiore rispetto alle persone sedentarie. Questo perché l’attivitá fisica riduce i valori di pressione arteriosa per aumento della capillarizzazione muscolare, espansione del volume plasmatico e miglioramento della funzione endoteliale.
Praticare attivitá fisica inoltre induce riduzione dell’obesità addominale dei valori di trigliceridi e VLDL, aumento delle HDL, riduzione delle LDL.
In conclusione possiamo dire che il movimento induce una riduzione ed un aumento dei seguenti aspetti:
Il movimento riduce:
- Mortalità per tutte le cause
- Malattie cardiovascolari
- Ipertensione
- Ictus
- Sindrome metabolica
- Diabete di tipo II
- Cancro al seno
- Cancro al colon
- Depressione
- Cadute
- Osteoporosi
Il movimento aumenta:
- Rafforzamento osseo
- Miglioramento funzioni cognitive
- Perdita di peso, soprattutto se associato alla riduzione di calorie
- Miglioramento della fitness cardiovascolare e muscolare
Mortalità ed attività fisica
Secondo uno studio prospettico condotto su 9.777 persone (fonte: Blair et al. JAMA 1995;273:1093), che si poneva l’obiettivo di valutare la relazione tra i cambiamenti nella forma fisica e il rischio di mortalità, si é giunti alla conclusione che gli individui che hanno mantenuto un’adeguata forma fisica, o migliorato il proprio stato attraverso un allenamento, avevano meno probabilità di morire per tutte le cause e per malattie cardiovascolari durante il follow-up rispetto agli individui sedentari.
In un’ altro studio di coorte longitudinale, con follow-up di 10 annidi 654.827 persone e 82.465 morti, si é rilevato che un livello di attività fisica di 0,1-3,74 MET-h / settimana, equivalente ad una camminata veloce fino a 75 min / settimana, è stato associato ad un guadagno di 1,8 anni (95% CI: 1,6-2,0) nell’aspettativa di vita rispetto a nessun attività praticata nel tempo libero (0 MET-h / settimana). Livelli più elevati di attività fisica erano associati a maggiori guadagni nell’aspettativa di vita, con un guadagno di 4,5 anni (IC 95%: 4,3-4,7) al livello più alto (22,5+ MET-h / sett, equivalente a una camminata veloce per 450+ min / settimana). Dal grafico risulta inoltre che sono proprio coloro che passano dalla sedentarietà a un’attività sub-ottimale ad avere i maggiori guadagni relativi.
Lo stesso studio ha messo in correlazione anche gli anni di vita persi in relazione alla sedentarietà per stato nutrizionale (BMI o IMC – Indice di massa corporea). Sono stati osservati minor anni di vita persi in ciascun gruppo di classe BMI che praticava attivitá fisica. Nello specifico, il gruppo di individui attivi (7,5+ MET-h / settimana) e normopeso (BMI 18,5-24,9) guadagnavano di 7,2 anni di vita in più (IC 95%: 6,5-7,9) rispetto al gruppo di individui inattivi (0 MET -h / wk) e obesi (BMI 35.0+). Tuttavia va precisato che chi è normopeso ma sedentario abbrevia comunque la sua vita di circa 3 anni rispetto a chi è attivo e obeso.
Infine é interessante riportare i risultati di uno studio di coorte prospettica taiwanese di 416.175 persone e follow up di 8 anni che porta in evidenza una relazione tra quantità di attività fisica e riduzione della mortalità tra il totale delle cause, per cancro, per problemi cardiovascolari e per diabete di tipo 2. A fronte di un attività fisica moderata di soli di 15 minuti al giorno si assiste:
- Riduzione del rischio mortalità del 14% rispetto al gruppo di sedentari.
- Aumento aspettativa di vita di 3 anni.
- Maggiore guadagno di salute: passaggio da sedentarietà a 1-2 ore di attività/settimana.
Da tutti questi studi emerge inequivocabilmente l’importanza del movimento nel ridurre la mortalità e la necessità che i medici stessi, nonché le varie istituzioni, incoraggino e si facciano promotori di praticare quotidianamente un’attività fisica.
Trattamenti farmacologici ed attività fisica a confronto
Spesso di parla di esercizio fisico in termini di prevenzione ma quando una malattia é conclamata si preferisce affidarsi esclusivamente alle cure farmacologiche sottovalutando, o addirittura non considerando, quanto incide il movimento per la nostra salute.
Secondo uno studio scientifico (fonte: Jaques et al. The Lancet, Vol 380, July 7, 2012) in realtà i benefici dell’esercizio fisico, in confronto a quelli apportati dai farmaci, sono pari se non addirittura superiori nel trattamento di patologie quali diabete 2, coronopatie, problemi cardiaci, cancro al seno, frattura alle anche e stati depressivi
Tumori ed attività fisica: possibili meccanismi biologici
Di seguito vengo indicati i possibili meccanismi biologici e gli effetti dell’attività fisica su vari tipi di tumore.
Quale attività fisica preferire
Chiarita l’importanza dell’attività fisica nel migliorare la nostra salute e ridurre la mortalità precoce occorre precisare quale sia la tipologia di movimento piú adatto a tal fine. Le linee guida non specificano cosa fare ma si limitano ad indicare la necessità di svolgere almeno 30 minuti di attività moderata per 5 giorni alla settimana oppure 20 minuti di attività intensa per almeno 3 giorni alla settimana.
É quindi meglio allenarsi intensamente o moderatamente come una semplice camminata? Il ruolo del camminare, rispetto a un esercizio fisico intenso, nella prevenzione delle malattie cardiovascolari rimane controverso. Tuttavia uno studio condotto su 73.743 donne di 50-79 anni (fonte: Manson JAE, N Engl J Med 2002;347:716) ha confrontato l’influenza dell’esercizio fisico intenso, del cammino e delle attività sedentarie sulla comparsa di eventi cardiovascolari (follow-up medio di 3.2 anni e fino a un massimo di 5.9 anni).
Dai risultai dell’analisi é emerso che l’aumento del punteggio per l’attività fisica presentava una forte associazione inversa col rischio di eventi coronarici e cardiovascolari totali (rischio relativo per eventi coronarici 1.00, 0.73, 0.69, 0.68, 0.47) e la riduzione del rischio è risultata simile sia per il cammino che per l’esercizio fisico intenso, senza distinzione per età e BMI; anche un passo rapido (3-7 km/ora) ed un solo minor numero di ore trascorse seduti ogni giorno hanno predetto un rischio inferiore.
Anche il ciclismo ha dimostrato una forte funzione protettiva sulle cardiopatie e nella riduzione della mortalità globale, come dimostrato da uno studio condotto su 13.000 donne e 17.000 uomini tra i 20 e i 93 anni (fonte: Copenhagen Heart Study – Arch Int Med 2000;160:1621).
I risultati delle analisi hanno dimostrato che, anche dopo aver controllato gli altri fattori di rischio, compresa l’attività fisica nel tempo libero, i soggetti che andavano al lavoro in bicicletta avevano un tasso di mortalità prematura più basso del 40% circa rispetto agli altri.
Considerazioni finali
Oggi giorno vi sono circa 360 milioni di persone (72% della popolazione europea) che vivono in città o sobborghi urbani, ma l’attività fisica troppo spesso non fa parte del dibattito cittadino, se non in campagna elettorale. L’84% dei politici intervistati in EU non è a conoscenza dei dati sulle persone in sovrappeso, mentre il 66% ignora i numeri dell’obesità (fonte: Maxim Leblanc – sporteconomy.it – settembre 2017).
Di questo passo l’inattività fisica rischia di essere una delle grandi sfide del futuro. Studi recenti dimostrano inoltre che l’ultima generazione sia la meno attiva della storia e potrebbe diventare la prima a morire in età più precoce rispetto ai propri genitori (fonte: Dan Burrows – sporteconomy.it – settembre 2017).
Nonostante i colossali danni della sedentarietà questa non è sufficientemente percepita come patologica. Occorre piú sensibilizzazione ed un adeguata informazione sui reali rischi.
Molte campagne di promozione basate sui benefici di una vita attiva trasmettono il messaggio che l’attività è utile ma non essenziale per la salute. L’attività fisica deve essere incoraggiata in tutte le tipologie di soggetti, dai bambini agli anziani. Nonostante l’obiettivo sia quello di raggiungere almeno mezz’ora al giorno nella maggior parte della settimana, anche attività più moderate si associano a benefici in termini di salute.
È necessario pertanto sviluppare un approccio alla sedentarietà analogo a quello impiegato nelle strategie verso la altre patologie di lotta contro il fumo e nello specifico:
- Fare in modo che la comunità medica intervenga efficacemente su questo fattore di rischio.
- Sottolineare i rischi oltre che i benefici.
- Offrire ai sedentari trattamenti efficaci per lo stile di vita.
- Trovare finanziamenti.
- Proteggere la sicurezza intervenendo sull’ambiente urbano.
In merito all’ultimo punto é inoltre essenziale, per le amministrazioni, capire quanto incida sulla salute, e di conseguenza anche sul bilancio economico, la possibilità per i cittadini di usufruire agevolmente di aree verdi dove potersi allenare. In uno studio condotto su 350.000 pazienti di medici di famiglia olandesi é emerso che, con 15 delle 24 patologie esaminate, la frequenza delle malattie croniche era inferiore in chi viveva a meno di 1 km di distanza da parchi o aree verdi (fonte: Journal of Epidemiology and Community Health 2009;63:967).
Concludo ribadendo che l’esercizio fisico deve essere inteso come vera terapia cardiovascolare: i benefici dell’attività fisica non dipendono solo dalla semplice riduzione dei fattori di rischio, dal momento che l’associazione con la riduzione della mortalità è indipendente dalla presenza di altri fattori di rischio coronarici.
Riferimenti
Brown J, Clarke C, Johnson Stoklossa C, Sievenpiper J. Canadian Adult Obesity Clinical Practice Guidelines: Medical Nutrition Therapy in Obesity Management. Available from: https://obesitycanada.ca/guidelines/nutrition.
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